Locazione: legittimo il recesso del conduttore a causa dell'umidità

Cass. Civile, sentenza n. 29329 del 13 novembre 2019

da | Feb 10, 2020 | Civile, Locazione

La Corte di Cassazione, Sezione III, con la sentenza n. 29329 del 13 novembre 2019 ha chiarito importanti aspetti in materia di locazione abitativa e, in particolare, hanno affrontato la legittimità del recesso da parte del conduttore nel caso l’immobile presenti problemi di umidità.

Gli Ermellini hanno ribadito il principio secondo cui il recesso del conduttore è da ritenersi legittimo a causa dei gravi problemi di umidità che interessano l’immobile locato, tali da comprometterne la salute.

Ed infatti, in tema di recesso, il conduttore per liberarsi dal vincolo contrattuale deve addurre avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto medesimo, estranei alla propria volontà ed imprevedibili, rendendone la prosecuzione eccessivamente gravosa.

I Giudici di legittimità osservano che i fenomeni di umidità rientrano non tra le riparazioni necessarie a mantenere la cosa in stato di servire all’uso convenuto (art. 1576 c.c.) bensì tra i vizi della cosa locata (art. 1578 c.c.) costituenti cose pericolose per la salute e, dunque, incidenti sull’idoneità dell’uso della cosa locata.

Non ha alcuna rilevanza la circostanza che il conduttore sia venuto meno all’obbligo di cui all’art. 1577 c.c. ossia di rendere note le riparazioni e gli interventi necessari a mantenere il bene in buono stato manutentivo giacché tale norma è invocabile solo quando trattasi di problematiche eliminabili nell’ambito delle opere di manutenzione e, pertanto, non invocabile per rimuovere fenomeni non transitori o deterioramenti rilevanti come le infiltrazioni di umidità trattandosi, nella specie, di veri e propri vizi della cosa locata, rispetto ai quali la tutela del conduttore si rinviene nelle disposizioni normative di cui all’artt. 1578 e 1581 c.c.

Neppure può rilevare l’ulteriore circostanza che il conduttore, all’atto della stipulazione del contratto, abbia dichiarato di aver trovato la casa in buono stato manutentivo e adatta all’uso convenuto. Sul punto, la Corte ritiene che la conoscenza dei vizi da parte del conduttore non libera il locatore da responsabilità.

Ciò conduce – secondo la Corte – a ritenere legittimo il recesso anticipato dal conduttore tenuto conto del collegamento riscontrato tra l’umidità degli ambienti e le problematiche di salute certificate dal conduttore.

Infine, gli Ermellini precisano che alla fine del rapporto locativo “la spesa per la tinteggiatura non può essere posta a carico del conduttore, atteso che rientra nel normale degrado d’uso il fatto che dopo un certo periodo di tempo i mobili e i quadri lascino impronte sulle pareti (Cass. 1984 n. 4357)”.

Cassazione Civile, Sezione III, sentenza n. 29329 del 13 novembre 2019

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 21 giugno – 13 novembre 2019, n. 29329

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

….

Svolgimento del processo

F.C., B.F., Fe.Au. e F.S. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 793/2016 della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 15/11/2016, avvalendosi di sei motivi, corredati di memoria.

Resiste e propone ricorso incidentale condizionato, basato su tre motivi, M.P..

I ricorrenti espongono che il Tribunale di Ancona, adito da M.P., con sentenza n. 900/2015 aveva dichiarato la legittimità del recesso dal contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS), esercitato da F.C. e B.F. ed aveva respinto le altre domande attoree, volte ad ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione e la condanna dei conduttori e di Fe.Au. e F.S., garanti delle loro obbligazioni, al pagamento delle spese condominiali, dei canoni di locazione insoluti, delle spese di registrazione del contratto e delle spese di tinteggiatura dell’appartamento. M.P. aveva impugnato la decisione di prime cure dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona, insistendo per l’accertamento della illegittimità del recesso esercitato dai conduttori, per la risoluzione del contratto per il mancato pagamento dei canoni di locazione, aggiornati secondo le variazioni Istat previste dal contratto, dall’1 luglio 2010 al 31 maggio 2012, per un totale di Euro 13.573,80, per il mancato pagamento degli aggiornamenti Istat sui canoni di locazione di maggio e giugno 2010, per un totale di Euro 15,45, per il mancato pagamento delle spese condominiali dall’1 giugno 2008 al 31 maggio 2012, per un totale di Euro 1150,31, e per la mancata tinteggiatura dell’appartamento al momento della riconsegna dell’immobile nonchè per la condanna di Fe.Au. e F.S., tenuti a garantire le obbligazioni dei conduttori in virtù di scrittura privata del 30 aprile 2008.

In via incidentale, gli odierni ricorrenti chiedevano il rigetto dell’appello e la condanna di M.P. ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per responsabilità aggravata al pagamento di Euro 5.000,00 o della diversa somma determinata giudizialmente.

La Corte d’Appello, con la sentenza impugnata, accoglieva parzialmente l’appello, dichiarava risolto il contratto e condannava gli appellati in solido al pagamento di Euro 650,63+134,10+1697,11 oltre agli interessi dal dovuto al saldo, rigettava l’appello incidentale, liquidava le spese di lite che compensava per metà.

Motivi della decisione

  1. Va in primo luogo esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di valida procura speciale sollevata con il controricorso (p. 20).

Premesso in fatto che la procura, contenuta a margine del ricorso, si dimostra conferita dai ricorrenti agli avvocati Francesco Mattioli, Maurizio Spinella e Alessandro Santucci, che solo l’avvocato Maurizio Spinella risulta ammesso al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione e l’autenticazione della sottoscrizione dei conferenti proviene dai soli due avvocati non cassazionisti, l’assunto del controricorrente è nel senso della inesistenza della procura.

L’eccezione è infondata.

La questione è già stata decisa da questa Corte nel senso che la mancata certificazione o la certificazione da parte di avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla Suprema Corte di Cassazione dell’autografia della sottoscrizione della parte ricorrente (o di quella resistente) apposta sulla procura speciale ad litem rilasciata in calce o a margine del ricorso (o del controricorso) per cassazione, che sia stato firmato anche da altro avvocato, quest’ultimo iscritto nell’albo speciale e indicato come codifensore in procura, costituisce mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura “ad litem”, perchè tale nullità non è comminata dalla legge, ed è del tutto inidonea ad incidere sui requisiti indispensabili per lo scopo dell’atto, sanabile per effetto della costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con specifiche argomentazioni, l’autografia della firma di rilascio della procura: Cass. 24/02/2016, n. 3559; Cass., Sez. un., 08/07/2003, n. 10732.

Tale conclusione, ad avviso di questo Collegio, è da preferire, in forza del principio di raggiungimento dello scopo, a quella espressa da un altro indirizzo di legittimità richiamato dal controricorrente, secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione quando la firma della parte nella procura speciale in calce all’atto (o a margine dello stesso) sia certificata autografa da difensore non iscritto nell’apposito albo degli abilitati al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione, atteso che il potere di effettuare la suddetta certificazione presuppone l’esistenza dello “ius postulandi” e che l’invalidità della certificazione stessa implica la divergenza dell’atto di impugnazione dal modello legale di cui all’art. 365 c.p.c..

Devono, pertanto, esaminarsi il ricorso principale e quello incidentale condizionato.

Ricorso principale.

  1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (art. 132 c.p.c., n. 4) e la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4).

La sentenza impugnata ha accolto l’ultima censura formulata da M.P. con la seguente motivazione: “L’ultima censura concerne le spese condominiali, quelle di registrazione del contratto e le differenze Istat sulle quali il giudice a quo non ha deciso. La censura è fondata in quanto si tratta di somme comunque dovute dai conduttori che non ne hanno dimostrato”.

Tale motivazione, essendo tronca dal punto di vista testuale e di significato, darebbe luogo ad una causa di nullità della sentenza.

Il motivo non merita accoglimento.

La mancanza di motivazione implica la inintelligibilità della decisione e delle sue ragioni. Nel caso di specie, al netto della estrema laconicità della motivazione, ben si intuisce che l’intenzione della Corte territoriale era quella di condannare i ricorrenti al pagamento di quelle somme, perchè, pur dovute, non ne era stata dimostrata la corresponsione.

  1. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (L. n. 392 del 1978, art. 9, art. 2697 c.c., artt. 633 e ss. c.p.c., art. 1130 c.c. e art. 63 disp. att. c.c.) e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 relativamente alla richiesta di rimborso delle spese condominiali.

La sentenza gravata, accogliendo l’ultima censura dell’appellante, aveva condannato gli appellati in solido al pagamento di Euro 650,63 + 134,10 + 1.697,11 oltre agli interessi di legge dal dovuto al saldo. L’importo risulterebbe dal documento 12 del fascicolo di parte di primo grado indicato come “consuntivi di spesa”, omettendo di considerare l’eccezione di difetto di prova della ricorrenza del credito, del suo ammontare e dei criteri di ripartizione adottati.

Corrisponde ad un principio ricorrente nella giurisprudenza di legittimità che, ove il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali, contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell’art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell’aver indirizzato “la richiesta prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 9 necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l’esistenza, l’ammontare e i criteri di ripartizione del rimborso richiesto” (Cass. 01/04/2004, n. 6403).

Parte ricorrente, fornendone i riscontri necessari, ha dimostrato di avere contestato, sia in primo che in secondo grado, la sufficienza del documento denominato “consuntivi di spesa”, di cui, nondimeno, non si conosce il contenuto, pretendendo la documentazione dettagliata comprovante il credito.

La questione da risolvere è quale sia il contenuto dell’onere probatorio gravante sul locatore che esiga il pagamento degli oneri condominiali.

Innanzitutto, è costante il principio (Cass. 01/12/1987, n. 8938) che, in caso di contestazione, il locatore ha l’onere di provare i fatti costitutivi del proprio diritto e che, a tal fine, non basta che dimostri di avere inviato la richiesta prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 9.

Si tratta, dunque, di verificare se sia sufficiente che il locatore produca il rendiconto approvato dal condominio o se debba altresì corredarlo dei documenti giustificativi.

Con riferimento ai rapporti condominiali questa Corte ha ritenuto (cfr. Cass. 23/07/1988, n. 4751; Cass. 23/05/1981, n. 3402) che, una volta approvato il rendiconto, l’amministratore possa ottenere il rimborso delle spese senza essere tenuto a sottoporre all’esame dei singoli condomini i documenti giustificativi, dovendo i medesimi essere controllati prima dell’approvazione. Non diversa soluzione va data per quanto concerne i rapporti tra locatore e conduttore, disciplinati dalla L. n. 392 del 1978 senza innovare in ordine alla normativa generale sul condominio degli edifici (cfr. Cass. 03/02/1994, n. 1104; Cass. 14/07/1988, n. 4606), in considerazione del fatto che i documenti giustificativi si trovano nella disponibilità dell’amministratore e non del locatore e che, inoltre, non è configurabile un onere del locatore di premunirsi dei documenti in previsione di possibili contestazioni del conduttore, tanto più che la L. n. 392 del 1976, art. 9, comma 3, garantisce a quest’ultimo il diritto di prenderne visione, ovviamente presso l’amministratore, che li custodisce.

In conclusione, può affermarsi che il locatore, il quale convenga in giudizio il conduttore per il pagamento delle spese condominiali, soddisfa il proprio onere probatorio, producendo i rendiconti dell’amministratore, approvati dai condomini, mentre spetta al conduttore muovere specifiche contestazioni in ordine alle varie partite conteggiate, prendendo a tale scopo visione dei documenti giustificativi ovvero ottenendone l’esibizione a norma degli artt. 210 e ss c.p.c. (Cass. 28/09/2010, n. 20348; Cass. 04/06/1998, n. 5485).

Sempre questa Corte regolatrice ha chiarito che la disposizione della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 9, comma 3 che impone al conduttore di pagare gli oneri condominiali entro due mesi dalla relativa richiesta, circoscrive altresì l’arco temporale entro il quale il conduttore può esercitare il suo diritto di chiedere l’indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione nonchè di prendere visione dei documenti giustificativi. Ne consegue che, non essendovi, in mancanza di tale istanza del conduttore, alcun onere di comunicazione del locatore, il conduttore, decorsi i due mesi dalla richiesta di pagamento degli oneri condominiali, deve ritenersi automaticamente in mora alla stregua del principio dies interpellat pro homine e non può, quindi, sospendere, ridurre, ritardare o contestare il pagamento degli oneri accessori, adducendo che la richiesta del locatore non era accompagnata dall’indicazione delle spese e dei criteri di ripartizione (Cass. 24/11/ 1994, n. 9980; Cass. 24/01/1996, n. 540).

Significa, insomma, che il conduttore che abbia ricevuto la richiesta di pagamento degli oneri condominiali è tenuto ad attivarsi entro lo spatium deliberandi che la legge gli concede, sollecitando l’indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione e pretendendo di prendere visione dei documenti giustificativi.

Il motivo va, dunque, rigettato.

  1. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., e la violazione e falsa applicazione di norme di lege, ex art. 360, comma 1, n. 3, nonchè la violazione dell’art. 132 c.c., n. 4, relativamente alla richiesta di rimborso delle spese di registrazione del contratto.

La Corte territoriale avrebbe pronunciato oltre i limiti della domanda, perchè la richiesta di rimborso delle spese di registrazione per Euro 134,10 non sarebbe stata riproposta in appello ed avrebbe dovuto intendersi rinunciata ex art. 346 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Ribadito che il dovere decisorio del giudice trae la propria origine ed il proprio fondamento nella “domanda” proposta dalle parti, va altresì rilevato che nel caso di specie vi erano i presupposti affinchè il giudice si pronunciasse sulla domanda rientrando essa tra quelle implicitamente proposte, posto che si è trattato dell’omessa riproposizione della domanda in sede di precisazione delle conclusioni: la mancata riproposizione di una domanda nelle conclusioni definitive dà luogo ad una presunzione di abbandono della stessa che non esonerava il giudice dall’obbligo di interpretare la volontà della parte per accertare se, nonostante la materiale omissione, essa avesse inteso mantenere ferma la domanda (Cass. 28/06/2006, n. 14964; Cass. 29/01/2003, n. 1281; Cass. 19/05/2004, n. 9465).

Dall’accoglimento della richiesta si desume che il giudicante ha ritenuto che la parte non avesse inteso rinunciare all’iniziale domanda.

  1. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., e la violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, relativamente alla richiesta di rimborso delle differenze Istat sui canoni di locazione.

Ad avviso dei ricorrenti, in primo grado la domanda di rimborso della differenza Istat era stata quantificata in complessivi Euro 3,85, la Corte d’Appello, a fronte di una domanda in primo grado di Euro 3,85 poi portata ad Euro 15,45 per i mesi di maggio e giugno 2010, in appello, aveva liquidato Euro 1.697,11.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata non è supportata da una motivazione che consenta di intuire l’iter logico-giuridico che ha indotto il giudice a quo a liquidare a titolo di mancato aggiornamento Istat una somma diversa da quella richiesta, nè vi sono i presupposti per correggere la decisione, ricorrendo una incertezza in ordine alla somma reclamata.

  1. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c..

La Corte territoriale, disposta la condanna dei conduttori e dei loro fideiussori in solido al pagamento delle spese legali di primo e secondo grado e compensandole per metà, avrebbe violato il principio di causalità, omettendo di considerare che la domanda dell’odierno resistente era stata respinta pressochè integralmente.

  1. Con il sesto ed ultimo motivo i ricorrenti adducono la violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 96 c.p.c. nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I ricorrenti rimproverano al giudice a quo di aver negato accoglimento alla domanda ex art. 96 c.p.c., per aver ritenuto mancante la prova dell’elemento soggettivo e del danno subito, non considerando che la controparte aveva sempre continuato a negare, nonostante le certificazioni ASUR e la CTU di primo grado, la formazione di macchie di umido e la presenza di muffe, aveva opposto un tenace rifiuto ad ogni proposta di definizione amichevole, aveva proposto appello imputando la formazione delle muffe alla mancata areazione dei locali, che tra il recesso dal contratto e il processo di primo grado erano passati quattro anni, che il giudizio di primo grado era durato altri tre anni e che ciò aveva turbato lo stato d’animo di una persona normale non avvezza ai contenziosi giudiziali, che, trattandosi di una condanna accessoria per lite temeraria, l’importo avrebbe potuto essere determinato equitativamente a favore della parte vittoriosa.

I motivi quinto e sesto sono assorbiti.

Ricorso incidentale condizionato.

  1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1577 c.c. e delle norme generali in tema di correttezza e di buona fede, art. 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il locatore rappresenta di non essere stato mai reso edotto, prima della lettera di recesso del 23 dicembre 2009, della presenza di problemi di umidità e di macchie di muffa nell’appartamento e adduce di averlo dimostrato con la testimonianza dell’inquilino precedente che aveva detenuto l’immobile per tre anni e non aveva mai lamentato problemi di sorta.

Il conduttore, perciò, sarebbe venuto meno all’obbligo di cui all’art. 1577 c.c. di rendere note le riparazioni e gli interventi necessari a mantenere il bene in buono stato locativo; nel caso di specie, in particolare, non solo aveva omesso di segnalare la presenza di problemi, impedendo di intervenire applicando delle vernici che sarebbero costate, secondo il CTU, Euro 2000,00, dato che i fenomeni lamentati erano limitati ad alcune stanze e circoscritti all’interno di esse, ma avrebbe scorrettamente esercitato il recesso, invocando la responsabilità del locatore per omessa manutenzione.

  1. Con il secondo motivo il resistente deduce la violazione della L. n. 397 del 1978, art. 4 e della L. n. 431 del 1988, art. 3 nella parte in cui la sentenza di secondo grado assume a fondamento della configurabilità dei gravi motivi di recesso la presenza di macchie di umidità in una porzione della unità abitativa locata, riconducibile alle caratteristiche costruttive e risolvibile con interventi mirati.

Per il resistente la Corte territoriale non avrebbe dovuto ritenere che costituisse un vizio della cosa locata la mancanza, in un edificio di vecchia costruzione e la cui vetustà era nota al conduttore, di quelle caratteristiche che sono proprie delle tecniche edilizie più recenti. Nè tale mancanza avrebbe potuto integrare gli estremi dell’inadempimento delle obbligazioni di cui all’art. 1575 c.c., perchè l’obbligo del locatore di riconsegnare e mantenere la cosa in buono stato locativo non importa, in assenza di espressa  pattuizione, anche quello di eseguire modificazioni e trasformazioni della cosa rispetto allo stato esistente al momento del contratto, vieppiù se il conduttore ha riconosciuto il bene locato idoneo allo scopo.

Contesta, in aggiunta, che la condensa riscontrata dal CTU e la formazione di muffe legata ai ponti termici derivati dalle strutture portanti dell’edificio fossero legate a problematiche costruttive dell’unità immobiliare, apparendo invece riconducibili a gravi negligenze degli abitanti che non avevano provveduto all’adeguata aereazione dei locali.

I motivi secondo e terzo possono essere esaminati unitariamente e sono infondati.

Va ricordato che in tema di recesso del conduttore, sia per le locazioni abitative che per le non abitative, in base alla L. n. 392 del 1978, art. 4 le ragioni che consentono al conduttore di liberarsi del vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto, estranei alla sua volontà ed imprevedibili, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione e che la gravosità della prosecuzione deve avere una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto, con la precisazione che, rispetto alle locazioni abitative, la gravosità della prosecuzione va valutata non (solo) sotto il profilo economico, ma anche tenendo conto delle esigenze di vita del conduttore medesimo (Cass. 05/04/2016, n. 6553).

Nel caso di specie, essendo stata individuata nel collegamento tra due problematiche – la umidità degli ambienti e la pregressa patologia della conduttrice, sofferente di dispnea e di attacchi broncospastici – la giustificazione del recesso, deve escludersi che la Corte territoriale sia incorsa nella violazione della L. n. 392 del 1978, art. 4 sostanzialmente riprodotto nella L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 3.

La giurisprudenza di questa Corte ritiene che i fenomeni di umidità siano annoverabili non tra le riparazioni necessarie a mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto (artt. 1576 c.c.), bensì tra i vizi della cosa locata (art. 1578 c.c.), rectius: tra i vizi costituenti cose pericolose per la salute in quanto hanno esposto a serio pericolo la salute dei familiari di esso conduttore (art. 1580 c.c.) – Cass. 25/05/2010, n. 12712 – i quali, secondo giurisprudenza conforme, non derivano da un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’art. 1575 c.c., ma alterano l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull’idoneità all’uso della cosa stessa (Cass. 21/11/2011, n. 24459).

L’obbligo del locatore di effettuare le riparazioni necessarie a mantenere l’immobile in buono stato locativo, di cui all’art. 1576 c.c., riguarda gli inconvenienti eliminabili nell’ambito delle opere di manutenzione, e, pertanto, non può essere invocato per rimuovere guasti aventi causa in fenomeni non transitori o deterioramenti rilevanti (nella specie, presenza di umidità e formazione di condensa), rispetto ai quali la tutela del locatario resta affidata alle disposizioni dettate dagli artt. 1578 e 1581 c.c. per i vizi della cosa locata (Cass. 25/05/2010, n. 12712).

Vai la pena di ricordare che i vizi della cosa locata, agli effetti dell’art. 1578 c.c., sono solo quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, indipendentemente dalla loro eliminabilità e dal fatto che abbiano carattere originario, ben potendo manifestarsi successivamente alla conclusione del contratto di locazione, come si evince dall’equiparazione sancita dall’art. 1581 c.c. (Cass. 10/08/1991).

Nè rileva che il conduttore all’atto della stipulazione del contratto abbia dichiarato di aver trovato la casa in buono stato locativo e adatta all’uso convenuto, atteso che la conoscenza dei vizi da parte del conduttore non libera il locatore da responsabilità, nè limita la sua responsabilità se i vizi sono tali da rendere impossibile il godimento della cosa locata (art. 1579 c.c.).

La presenza del vizio denunciato, dunque, giustificava il recesso anticipato dal contratto.

Ciò, pur bastando a rendere prive di rilievo le ulteriori prospettazioni del controricorrente, induce questa Corte a cogliere l’occasione per precisare che la scelta dei conduttori di esercitare il recesso anticipato, quindi, la rinuncia alla esperibilità dei rimedi di diritto comune, in questo caso rappresentati dalla risoluzione del contratto per inadempimento della controparte oltre che dal risarcimento del danno – e sia detto per incidens, non dell’azione di esatto adempimento (così Cass. 21/11/2011, n. 24459) – rende vieppiù irrilevante la circostanza che i ricorrenti non abbiano denunciato al locatore i vizi dell’immobile.

La eventuale violazione da parte loro dell’obbligo di segnalazione che, come questa Corte ha riconosciuto, prescinde dalla natura del vizio, essendo riferibile a tutte “tutte le ipotesi di riparazioni alla cosa locata non a carico del conduttore, indipendentemente dalla natura del difetto che esse mirano ad eliminare” – Cass. 06/03/1995, n. 2605 – non priva, infatti, di “titolo” il recesso anticipato esercitato; nè il locatore ha formulato una domanda nei confronti dei conduttori per risarcimento del danno cagionato, a causa della violazione da parte loro dell’art. 1577 c.c., per non aver potuto intervenire sull’immobile locato, eliminando un vizio da lui non conosciuto nè altrimenti conoscibile, produttivo di conseguenze immediate e quindi necessitante di riparazioni non differibili: ipotesi, peraltro, neppure ricorrente nel caso di specie, giacchè è lo stesso locatore ad evidenziare che lo stato dell’immobile era rimasto invariato a distanza di quattro anni (p. 45 del controricorso).

  1. Con il terzo motivo, indicato erroneamente come quinto, il locatore deduce l’omesso esame, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 circa un fatto decisivo per il processo, oggetto di discussione tra le parti, ovvero dell’art. 4 del contratto di locazione nonchè del punto 1 del verbale di consegna aventi ad oggetto e disciplinanti le spese di tinteggiatura dell’appartamento di cui si erano fatti carico i conduttori.

La Corte territoriale aveva escluso che i conduttori fossero tenuti a ritinteggiare l’appartamento con una motivazione “le condizioni dell’immobile non sono dovute all’utilizzazione del medesimo ma ad

inconvenienti strutturali” del tutto avulso dalle obbligazioni contrattuali che imponevano di ritinteggiare l’immobile a prescindere dalle cause di restituzione.

La costante giurisprudenza della Suprema Corte è nel senso che “la clausola che obbliga il conduttore ad eliminare, al termine del rapporto, le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per il suo normale uso (nella specie, ponendo a suo carico la spesa per la tinteggiatura delle pareti) deve considerarsi nulla, ai sensi della stessa L. n. 392 del 1978, art. 79 perchè, addossando al conduttore una spesa di ordinaria manutenzione, che la legge pone, di regola, a carico del locatore (art. 1576 c.c.), attribuisce a quest’ultimo un vantaggio in aggiunta al canone, unico corrispettivo lecitamente pattuibile a carico del conduttore” (Cass. 5/08/2002, n. 11703).

Ne consegue che la spesa per la tinteggiatura non può essere posta a carico del conduttore, atteso che rientra nel normale degrado d’uso il fatto che dopo un certo periodo di tempo i mobili e i quadri lascino impronte sulle pareti (Cass. 1984 n. 4357)”.

Il motivo è, dunque, infondato.

  1. In conclusione, la Cassazione accoglie il quarto motivo del ricorso principale, rigetta i restanti, rigetta altresì il ricorso incidentale. Cassa la decisione impugnata con riferimento al motivo accolto, rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa compensazione. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti il quinto e il sesto; rigetta i restanti, rigetta altresì il ricorso incidentale. Cassa la decisione impugnata con riferimento al motivo  accolto, rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa compensazione. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019.

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